a cura del Gruppo donne UILDM
In questi tempi di Covid-19, risuona urbi et orbi l'appello a noi cittadini di restare nelle nostre abitazioni. Lo si sente ripetere da Amadeus, da Fiorello e da altri personaggi famosi. Lo si legge sui social declinato nell'hashtag #iorestoacasa.
Restare a casa è, senza dubbio, la prima arma di prevenzione per difenderci da questa logorante pandemia. Ma per alcune persone la prospettiva di rimanere confinate tra le mura della propria casa assume i contorni di uno scenario infernale, laddove le stesse diventano teatro di episodi di violenza domestica.
A fine gennaio 2020, quando ancora il catastrofico destino del Paese era ben lungi dal profilarsi all'orizzonte, il procuratore generale della Corte suprema di Cassazione Giovanni Salvi inaugurava l'anno giudiziario sottolineando che in materia di violenza sulle donne si registrava un aumento di percentuale a fronte di una diminuzione di numero, rispetto agli episodi di violenza a danno degli uomini, fermo restando che si trattava pur sempre di un'emergenza nazionale.
Ora proviamo ad immaginare il caso di una donna vittima di violenza domestica costretta alla convivenza con il suo aguzzino 24h/24 senza l'opportunità di fuggire o di chiedere aiuto, anche perché le misure di prevenzione imposte dal governo mettono in difficoltà sia le operatrici dei centri antiviolenza in quanto la tutela dal contagio e quella dalla violenza inevitabilmente contrastano tra loro sia la situazione nelle Case rifugio per l'aumento dei contatti fra le donne a seguito di nuovi ingressi.
Ma andiamo più a fondo ed immaginiamo una donna con disabilità vittima di un caregiver che pratica abusi e violenze di tipo fisico e psicologico: abbiamo più volte evidenziato come sussista una maggiore difficoltà nel denunciare in questi casi, e la forzata reclusione rischia di chiudere il sipario su fenomeni che hanno il diritto di essere raccontati e su donne che hanno il diritto di essere aiutate sempre e comunque.
In questi giorni, il Ministero delle Pari Opportunità ha annunciato la diffusione dell'app 1522 che permette di rivolgersi all'omonimo numero verde senza necessità di parlare: una novità volta a rendere più agevole il percorso di segnalazione dell'episodio in una situazione di compresenza dell'aguzzino, ma che specificatamente in campo di persone con disabilità si configura come soluzione ideale per le donne che hanno difficoltà di parola e/o di espressione. Senza il rischio di essere ascoltate, dunque, le donne potranno chiedere aiuto e portare così all'attivazione delle procedure per arginare il problema ed azionare i dispositivi di emergenza.
È importante diffondere il più possibile la presenza di questa app, scaricabile gratuitamente dallo store Google, affinché le donne sappiano di non essere né sole né poste in secondo piano e che ci sarà sempre qualcuno pronto ad intervenire anche in questo periodo. Inoltre, è anche possibile chattare con un'operatrice direttamente dal sito.
Non solo la app 1522, ma anche l'app YouPol, ideata per contrastare bullismo e spaccio di sostanze stupefacenti nelle scuole, ha recentemente sviluppato la funzione di segnalazione dei reati di violenza domestica agli operatori della Polizia di Stato attraverso messaggi ed immagini automaticamente geo-referenziate: le segnalazioni possono essere fatte in forma anonima ed anche dai testimoni diretti o indiretti degli episodi di violenza (ad esempio, i vicini di casa).
Altre app gratuite sono Siamo Sicure, S.H.A.W. (quest'ultima progettata in 12 lingue per donne di diversa nazionalità) e quella ufficiale dell'associazione D.i.Re.
Si rinnova, infine, l'invito a monitorare l'elenco dei centri antiviolenza aperti (qui quello dei centri D.i.Re) sui siti dei singoli Comuni.