Portare le donne con disabilità verso l’inclusione *

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È stato presentato a Roma un importante e innovativo progetto quadriennale di ricerca (e prassi), promosso dall’Università di Genova e finanziato con fondi europei, coinvolgendo vari interlocutori italiani e di altri Paesi europei. Si chiama “RISEWISE” (“RISE Women with Disabilities in Social Engagement”, ovvero “Portare le donne con disabilità verso l’inclusione sociale”) e costituisce una vera e propria sfida alla società contemporanea, puntando a cambiare le pratiche di inclusione sociale e a rendere disponibile anche alle donne con disabilità una “vita normale”, fatta di lavoro, istruzione e famiglia.

 

Anche Giampiero Griffo, membro del Consiglio Mondiale di DPI (Disabled Peoples’ International) e Silvia Cutrera, presidente dell’AVI di Roma (Agenzia per la Vita Indipendente), hanno partecipato alla presentazione di Roma del Progetto “RISEWISE” (al centro, in primo piano). Anche Giampiero Griffo, membro del Consiglio Mondiale di DPI (Disabled Peoples’ International) e Silvia Cutrera, presidente dell’AVI di Roma (Agenzia per la Vita Indipendente), hanno partecipato alla presentazione di Roma del Progetto “RISEWISE” (al centro, in primo piano).

 

È decisamente di buon auspicio che proprio negli stessi giorni in cui come Coordinamento del Gruppo Donne UILDM abbiamo ampiamente evidenziato che «alle questioni legate alla condizione delle donne con disabilità, il nostro Paese non sembra prestare molta attenzione», sia stato presentato a Roma, alla presenza dei vari responsabili e interlocutori coinvolti, un importante progetto scientifico quadriennale promosso dall’Università di Genova e denominato RISEWISE (RISE Women with Disabilities in Social Engagement, ovvero, più o meno, “Portare le donne con disabilità verso l’inclusione sociale”).

«Questa – spiega la responsabile scientifica Cinzia Leone – è un’iniziativa all’avanguardia, per quanto riguarda donne, ricerca e disabilità, un’occasione importante per l’Università e anche per la sottoscritta, di fare ricerca e aiutare in un campo dove c’è tanto bisogno e molto disinteresse. Le donne e i ricercatori coinvolti nell’attività di studio – anche uomini – faranno visite presso le Università e le Piccole e Medie Imprese che partecipano al progetto tra Italia, Austria, Svezia, Spagna e Portogallo, implementando buone prassi e apportando possibili migliorie per la loro vita sociale, lavorativa e familiare».

Con RISEWISE, in sostanza, si intende rispondere a un quesito fondamentale, cercando soluzioni positive a interrogativi ancora aperti: «Può una donna con disabilità essere indipendente e avere le stesse possibilità di un uomo?».

Questo progetto mai sperimentato prima e finanziato con circa 2 milioni di euro di fondi europei, nell’àmbito del programma continentale Horizon 2020, è una vera e propria «sfida alla società contemporanea – prosegue Leone – allo scopo di cambiare le pratiche di inclusione sociale e rendere disponibile anche alle donne con disabilità una “vita normale”, fatta di lavoro, istruzione e famiglia. Perché tra i tanti fattori che rendono difficile l’integrazione, la disabilità è quello trasversale più radicato e persistente. Dal momento poi che gli studi medici, sociali e antropologici sulla disabilità in maniera organica sono relativamente recenti e molto spesso non fanno distinzione precisa di genere, uno degli scopi fondamentali di RISEWISE è anche quello di sviluppare nuove competenze in grado di migliorare l’integrazione sociale e in generale la vita delle donne con disabilità, secondo una prospettiva di genere che promuova un pieno godimento dei diritti e dell’uguaglianza di ogni persona, nel rispetto della differenza».

«Purtroppo – ricorda poi la docente dell’Ateneo genovese – ancora agli inizi degli Anni Novanta il corpo femminile è stato preso in considerazione solo se in condizioni di salute ottimali. Nel 1991, ad esempio, la sociologa femminista canadese Sharon Dale Stone scriveva nella monografia Femminismo e Corpo: “Nessuna malattia, nessuna imperfezione potrebbe essere accettata se la donna non può nasconderle o annullarle […]. Nella nostra cultura, le donne imparano che il loro valore risiede nell’attrattiva del loro corpo. Un corpo non attraente, malato, disabile, vecchio deve essere emarginato”. E ancora, la disabilità è stata ed è spesso considerata come un problema di salute individuale da risolvere con cure mediche, ma qualora l’intervento medico non abbia successo, devono essere previsti un’alternativa e un approccio diverso per permettere inclusione e occupazione. Secondo infatti il “modello sociale” introdotto da Paul Hunt, fondatore dello studio critico sulla disabilità, i vecchi stereotipi dei portatori di handicap, visti come “dipendenti, passivi, inferiori e malati”, vanno superati, insieme agli standard errati in base ai quali la società decide chi è abile e chi no. Le persone con disabilità devono quindi diventare protagoniste attive delle scelte che le riguardano e della vita sociale. Non è infatti il modello medico quello che dev’essere adottato, ma è il valore sociale di ogni persona a dover essere preso in considerazione. Il tutto in presenza di cifre non certo trascurabili, in quanto, lo ricordiamo, secondo i dati Istat e Censis del 2015, le persone con disabilità nel nostro Paese sono fra i 3 e i 4 milioni (tra il 5% e il 6,7% dell’intera popolazione), mentre i dati sulle sole donne con disabilità risalgono al 2008, quando erano stimate essere circa un milione e 700.000».

Partendo dunque da questi presupposti, RISEWISE si caratterizzerà come un progetto scientifico nato per affrontare ogni aspetto della disabilità attraverso un approccio olistico interdisciplinare: sociologia, psicologia, informatica, diritto, ingegneria e politica, con riferimento al quadro normativo esistente e al sostegno delle attuali tecnologie assistive, saranno infatti i vari àmbiti coinvolti. E l’obiettivo sarà segnatamente anche quello di influenzare la politica pubblica verso le donne e le donne con disabilità. (S.B.)

 

Per ulteriori informazioni e approfondimenti: Medea Garrone (addetta stampa di RISEWISE), mede.garrone77@gmail.com.

 

Il Progetto RISEWISE (RISE Women with Disabilities in Social Engagement)

Aspetti oggetto di analisi

° Analisi delle barriere che affrontano le donne con disabilità nella vita di tutti i giorni.

° Ricerca di una nuova metodologia per l’integrazione nei diversi ambienti di vita (casa, lavoro, società, istruzione, assistenza sanitaria, intrattenimento).

° Individuazione delle migliori pratiche per un nuovo approccio alla disabilità e per diffondere i risultati anche attraverso i responsabili delle politiche sociali (a livello locale e comunitario).

° Pianificazione delle attività di sensibilizzazione e formazione delle persone attraverso lo scambio di personale e la condivisione di conoscenze ed esperienze.

° Promozione dei risultati e loro attuazione nel prossimo futuro in Europa, fissando collaborazioni e obiettivi a lungo termine.

Approccio metodologico

Aspetto molto importante è che la ricerca sarà effettuata da parte di persone che sono in distacco intersettoriale presso Istituzioni di altri Paesi. E queste saranno per la maggior parte donne con disabilità che lavorano nelle Istituzioni partner. La diversità di culture, lingue e condizioni socio-economiche sarà un elemento molto utile per fare un confronto metodologico e condividere le esperienze al fine di giungere all’applicazione dei nuove pratiche inclusive. L’aspetto innovativo di RISEWISE consiste proprio nella partecipazione attiva delle donne con disabilità insieme agli scienziati e al personale coinvolti. Le persone che si sposteranno agiranno in qualità di osservatori e porteranno loro conoscenze ed esperienze. La metodologia prevede mezzi per documentare le osservazioni in modo sistematico, e la condivisione di queste osservazioni in un archivio comune.

Fasi progettuali

1. La formazione, che sarà effettuata a più livelli per facilitare le attività durante distacchi. L’esperienza collettiva in forma di un insieme di metodi per l’integrazione.

2. I casi di studio: per migliorare la conoscenza e la definizione di buone pratiche, ma anche per una politica consolidata da attuare nella società, al fine di potenziare la vita delle donne con disabilità.

3. Una rete di collaborazione, che permetterà ad ogni partecipante di contribuire alla valorizzazione degli altri in modo diretto ed efficace.

4. La promozione del progetto rappresenterà uno strumento immediato, ma anche di lunga durata, per promuovere la condivisione delle conoscenze e la sostenibilità dei risultati.

5. Le attività di sensibilizzazione e diffusione: tutti i partner saranno impegnati nel coinvolgimento del pubblico.

Ricadute positive

° Le donne con disabilità avranno l’opportunità di lavorare in un altro ambiente, in altri Paesi e settori, saranno considerate come i colleghi maschi. Vedranno realizzarsi il loro potenziale. Potranno anche imparare dalla metodologia per osservare, riferire, analizzare e implementare nuovi metodi per la ricerca sociale e per l’integrazione e l’inclusione. Questa esperienza aprirà nuove opportunità per lo sviluppo della carriera, non solo per le nuove conoscenze acquisite, ma anche perché dimostrerà che sono in grado di essere protagoniste nella ricerca e nell’innovazione in un contesto internazionale e multisettoriale.

° I ricercatori potranno confrontarsi con una nuova metodologia, che integra diversi metodi e ha nuove prospettive di attuazione. Avranno l’opportunità di lavorare su due livelli, quello individuale, grazie al periodo di distaccamento, e quello collettivo, grazie all’analisi e al consolidamento di conoscenze ed esperienze, acquisendo nuove abilità sull’applicazione dei metodi di ricerca sociale e di integrazione, su base multiculturale.

° Gli specialisti di assistenza sanitaria, che di solito si concentrano sul singolo caso per il trattamento, godranno di una prospettiva più ampia. La loro collaborazione sarà fondamentale per l’identificazione di nuovi metodi e tecniche per lo sviluppo di progetti futuri. La loro integrazione in team multidisciplinari sarà un’opportunità per migliorare la loro carriera.

° I ricercatori e gli ingegneri ICT [tecnologia e comunicazione, N.d.R.] avranno la possibilità di interagire meglio con le donne con disabilità, comprendendone di più i bisogni e potendo così sviluppare in modo mirato le tecnologie di assistenza.

° Gli assistenti sociali e i politici avranno l’occasione per definire obiettivi chiari, stabilendo le priorità dei bisogni della collettività, e una migliore conoscenza delle soluzioni esistenti realizzabili. Questo permetterà di offrire proposte concrete e piani d’azione per lo sviluppo nelle loro organizzazioni. Individualmente, il patrimonio acquisito attraverso la condivisione delle conoscenze li arricchirà con nuovi metodi e competenze. (M.G.)

 

* Il presente testo è già stato pubblicato sul portale Superando.it il 23 settembre 2016 (ultimo aggiornamento: 26 settembre 2016), e viene qui ripreso, per gentile concessione, con lievi adattamenti al diverso contesto.

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